Fare pace con se stessi

Alla fine di giugno 2018 partecipai al mio primo ritiro di mindfulness. Due giorni e due notti immersa nell’osservazione del silenzio più profondo, tra pratiche meditative e rari momenti di condivisione con il gruppo e gli istruttori. Ognuno disponeva di una camera tutta per sé e anche durante i pasti, sebbene si mangiasse tutti insieme, veniva rispettato il silenzio. Il ritiro prendeva il nome di ”Fare pace con sé stessi”.  In quell’occasione l’attenzione era rivolta al prendersi cura, in maniera sollecita, dellə nostrə bambinə interiore trasformando le ferite ed il dolore dell’infanzia in forza e consapevolezza. Un processo di guarigione di certo non circoscritto alla durata del ritiro – il quale però mi ha donato la preziosa opportunità di addentrarmi in luoghi profondi del proprio sé interiore.
Quanto segue è quanto sperimentai in quell’occasione.
 
27 giugno 2018 – Torino, Italia
Avevo appena ammesso a me stessa di avere paura. Per la prima volta, forse.  Ho creduto fosse quello. Quel peso immenso sul petto e dentro lo stomaco. Quella sensazione di volermi strappare tutti i vestiti di dosso e impazzire. Gridare e piangere come fossi sola al mondo. Invece no,c’era dell’altro.
Ero in mare aperto. E c’era la tempesta su di esso.
”Eccola”, mi dissi. Doveva arrivare, prima o dopo. 
Stavo aspettando quell’onda. Era lì, come quando una parola è ”sulla punta della lingua”.  Avevo tentato per settimane, consapevolmente e non, di ritardare il suo arrivo. Adesso non c’era più scampo.  Le onde mi sbattevano avanti e indietro, senza tregua.  Trascorsi sette lunghe ore in quel mare aperto.
Ero ormai stremata, senza più forze per restare a galla. Avevo esaurito tutte le energie disponibili,  comprese le riserve.
[…]
Passeggiavo sul prato della tenuta, lo stesso che il giorno prima mi aveva fatta sentire immensamente gioiosa e leggera per la sua bellezza e che adesso non vedevo neppure. Sentivo solo il sole, caldo e insopportabile, battere sulla mia pelle. Ad un tratto sentii come un richiamo e d’istinto mi voltai: c’era la mia bambina.  Era lì, sorridente.  Iniziò a camminare al mio fianco mentre mi guardava con ammirazione. Insieme giungemmo sulle pietre che costeggiavano il prato. Scottavano. Le domandai se preferisse fermarsi ad aspettarmi sotto l’ombra di un alberello. Accettò e mi fece promettere che sarei tornata a prenderla al suono dei cimbali.  Glielo promisi con convinzione. 
[…]
Tornati nell'area interna ebbe inizio la meditazione sul bambino interiore.
Iniziai a correre tra le lacrime. Corsi verso quell’albero più veloce che potevo. Avevo di nuovo paura,per la seconda volta nello stesso giorno. L’idea di averla persa mi terrorizzava.  Come avevo potuto dimenticarmi di lei? Come avevo potuto farlo anche io?
Voltai l’angolo e la vidi accovacciata sotto quell’ombra con la fronte corrucciata per il sole e per la desolazione.  Era ancora lì ad aspettarmi.
La abbracciai stringendola più forte che potessi.Le accarezzavo il volto e la testa come non avessi mai visto qualcosa di più bello al mondo. La implorai di perdonarmi e le giurai che mai, mai più l’avrei abbandonata.  Lei mi strinse forte e improvvisamente sentii sfilarmi di dosso una pesante pelliccia.Provai una sensazione di leggerezza mai provata prima di allora.
A partire da quel giorno viaggiamo mano nella mano, sempre. Per sempre.
 
La meditazione, se coltivata con costanza, pazienza e fiducia,conduce verso luoghi tanto profondi quanto sconosciuti del nostro sé.  Quel ritiro ebbe per me un valore iniziatico:per la prima volta spalancai le porte della percezione.  Grazie alla lunga contemplazione del silenzio riuscii a connettermi a una parte ferita di me che mai avevo raggiunto così profondamente e così consapevolmente. Con il tempo realizzai quanto tutto ciò sia possibile solo affidandosi e lasciandosi trasportare con fiducia dal flusso dell’esperienza.

Cristina Inserra

 

 
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